2.2. Opere principali e pensiero
Albert Jay Nock è stato scrittore fecondo; lo si può notare non soltanto dai volumi scritti e pubblicati, ma soprattutto dalla vasta produzione di articoli, editoriali e saggi che sono stati sovente raccolti e pubblicati anch’essi in volume.
Per una corretta interpretazione del suo pensiero, occorre necessariamente considerare l’ambiente sociale in cui Nock ha vissuto i primi anni della sua vita. Indubbiamente la famiglia, madre protestante e padre reverendo, ha contribuito a forgiare in lui quelle convinzioni intellettuali e morali che caratterizzeranno i suoi punti di vista futuri. I due istituti scolastici frequentati, anch’essi sotto l’influenza della stessa Chiesa Episcopale in cui il padre era inserito, non hanno fatto altro che rafforzarle. Questi principi si sono inizialmente riflessi soprattutto nella pratica quotidiana; ne è chiara testimonianza il suo ingresso nelle istituzioni religiose ed il percorso che lo ha portato fino al ruolo di rettore della Chiesa Episcopale di Titusville.
Durante il 1909 la situazione muta radicalmente: Nock vive una crisi di coscienza e medita sulla propria fede, allontanandosi definitivamente dal clero per lavorare al The American Magazine. Scrive parecchi articoli, ma il suo sguardo sul mondo è diverso dal precedente: ora cerca un approccio più scientifico che religioso, che gli permetta di analizzare i comportamenti umani lasciando in disparte il criterio spirituale; vuole capire le cause e le conseguenze delle azioni umane nella società [5].
Nonostante il cambio di visuale, rimarrà molto legato soprattutto ad uno dei suddetti principi: l’importanza fondamentale della fibra morale («moral fibre»); non più dal punto di vista religioso o spirituale, ma intesa come movente e risultato di un certo tipo di comportamento, come soggetto causante mutamenti nella società e della società stessa.
Nello stesso periodo entra in contatto con gli scritti dell’economista Henry George (1839 – 1897) e la sua filosofia sociale ne viene palesemente influenzata: la libertà come motore necessario al miglioramento dell’essere umano e l’impossibilità di raggiungerla a livello politico – sociale senza prima averla ottenuta in campo economico, sono temi che costituiranno la solida base di buona parte della produzione letteraria nockiana [6].
Un altro autore che ha un enorme influsso sull’analisi politico-sociale di Nock è, senza dubbio, Franz Oppenheimer (1864 – 1943). Il suo Der Staat, uscito nel 1908 in Germania e poi tradotto nel 1915 in lingua inglese, contiene la celebre distinzione tra i due metodi attraverso i quali gli esseri umani ottengono i mezzi per soddisfare i propri desideri: il lavoro ed il furto [7].
Distinzione dalla quale deriva la teoria sulla nascita dello Stato, denominata «Eroberungstheorie» (teoria della conquista), storicamente avvenuta sempre per opera di un gruppo di vincitori a scapito di un gruppo di perdenti, con il solo scopo di mantenere e regolamentare la supremazia del primo gruppo sul secondo attraverso lo sfruttamento economico [8]. Teoria in netto contrasto con ogni tipo di contrattualismo.
Nock condivide ed assimila questa analisi, facendosene portavoce per il pubblico statunitense; diverrà il fondamento del suo libro Our Enemy, the State.
Nel 1922 viene pubblicato il suo primo libro: The Myth of a Guilty Nation. Il volume contiene vari saggi apparsi su The Freeman nei precedenti anni, raccolti con un chiaro intento: «E’ stato composto per stabilire un ed un sol punto, vale a dire: il governo tedesco non è stato l’unico colpevole dell’inizio della guerra» [9], per poi proseguire con una ferma critica delle condizioni dettate dal Trattato di Versailles nei confronti della Germania.
Nel 1924 esce invece la raccolta definitiva di tutti gli editoriali di Nock apparsi sul The Freeman dal 1920 al 1924, The Freeman Book.
Due anni dopo è il turno di un lavoro che gli era stato commissionato nel 1920, una monografia dedicata a Thomas Jefferson: Jefferson. Il lavoro gli valse l’entusiastica recensione dell’amico H. L. Mencken.
Il 1928 è l’anno di On Doing the Right Thing and Other Essays, raccolta di saggi apparsi precedentemente su Harper’s Magazine e The American Mercury; l’argomento comune agli scritti è l’analisi critica, condotta da diversi punti di vista, della qualità della civilizzazione negli Stati Uniti.
Molto interessante, tra gli altri, il saggio “The Decline of Conversation”, scritto mentre soggiornava a Bruxelles: qui Nock compara gli argomenti di discussione tra cittadini americani rispetto a quelli tra cittadini europei, partendo dal presupposto che
«la civiltà di un paese consiste nella qualità della vita in esso vissuta, e tale qualità la si scorge chiaramente prestando attenzione alle cose delle quali la gente discute quando parla assieme, e nel modo in cui sceglie di parlarne» [10].
Riportando svariati esempi, sottolinea l’immaturità e l’imbarbarimento progressivo della cultura statunitense: incapacità di ragionare per idee generali perdendosi nei particolarismi, mancanza di spirito critico e indolenza nella voglia di svilupparlo (ben spiegato nel saggio “Cultural Forecast”), approccio ad ogni argomento in maniera commerciale («commercial way»), rifiuto del confronto intellettuale con interlocutori contraddittori, necessità continua di fare qualcosa per il timore di confrontarsi coi propri pensieri [11]; tutte cose che in Europa Nock non avverte. Rileva invece, e nel testo lo evidenzia con forza, come queste abitudini culturali negative influenzino i bambini e compromettano di conseguenza la crescita intellettuale delle generazioni future. Sono concetti che si presentano spesso nelle analisi nockiane: l’importanza della cultura e dello spirito critico, legati indissolubilmente alla moralità, entrambi stimolo ad una civilizzazione che migliori l’individuo e quindi la società.
Due delle principali cause responsabili di questa situazione sono individuate nel saggio “Towards a New Quality Product”. La prima è la mancata distinzione tra istruzione ed educazione, convenzionalmente considerati sinonimi, che Nock considera concetti assolutamente ben distinti e separati [12]. La seconda focalizza sul fatto che tutti debbano indistintamente andare a scuola, altra convenzione che verrà screditata; in un ardito paragone con Henry Ford, Nock critica l’assunto secondo cui ogni ragazzo possiede uguali capacità intellettuali («school – ability» [13]) e che a tutti debba quindi venir garantito l’accesso alle strutture scolastiche. Di riflesso, l’efficacia di un sistema scolastico non dovrebbe esser basata sul numero di alunni iscritti, cosa che purtroppo ancora oggi rappresenta una pratica diffusa.
In ultima istanza, non manca il giudizio negativo relativo agli insegnamenti veri e propri, incentrati maggiormente sulla conoscenza strumentale rispetto a quella formativa. La ricetta risolutiva consiste in semplici regole: a scuola insegnare solamente greco, latino, matematica e algebra; al college concentrarsi sulla letteratura greca e latina, avanzare con la matematica, studiare logica, conoscere la storia della lingua inglese. Ogni preparazione specifica avverrà dopo, facilitata dall’educazione ricevuta.
In queste raccomandazioni appare chiaro il suo approccio verso la società: da un lato vi è l’inevitabilità di confrontarsi col mondo reale e le sue leggi, da conoscere e prevedere avendo come base la logica e la matematica; dall’altro la necessità di comprendere la propria cultura, da cui deriva la morale e di conseguenza gran parte delle azioni quotidiane, attraverso lo studio dei classici e della propria lingua.
Altro scritto autorevole contenuto nel libro è “Anarchist’s Progress”. Chiedendosi come si sia giunti alla creazione di leggi e governi, passando per esempi concreti di come ciò che impongono queste leggi vada spesso contro la morale stessa di chi le deve esercitare (poliziotti, giudici, ecc..), Nock arriva ad insistere sull’importanza della cornice educativa che lo Stato sostiene, dal quale ritiene di essere stato fortunatamente escluso, che si spinge stavolta ben oltre gli istituti scolastici, formando strutture sociali permanenti che condizionano gli individui [14].
Osservando il lavoro del corpo legislativo, inoltre, capisce come ogni uomo politico pensi maggiormente ai propri interessi piuttosto che concentrarsi sul bene comune, ed agisce, tramite la posizione di potere che ricopre, per soddisfarli. La conclusione è radicale:
«[…] il governo non è nient’altro che uno strumento per prendere soldi dalle tasche di qualcuno e metterli in quelle di qualcun altro»[15]
ed egli stesso si stupisce di come si possa supportare un organismo che monopolizza il crimine, il furto, la violenza e, nel frattempo, poco o nulla può fare per il benessere generale. E qualsiasi sia la configurazione di tale organismo, la sostanza rimane la medesima:
«[…] come nelle mani di liberali o conservatori, repubblicani o democratici, così come sotto forma di costituzionalismo di facciata, di repubblica o di regime autocratico, il meccanismo dello Stato lavorerà spedito ed inesorabile in un’unica direzione, vale a dire: contro il generale benessere della gente» [16].
Nock non può che focalizzarsi anche sulla nascita dello Stato [17], riportando la teoria della conquista di Oppenheimer e spiegandone la distinzione tra mezzi economici e mezzi politici per soddisfare i desideri umani. In conclusione viene introdotto un piccolissimo segnale di quel pessimismo che si amplierà e sfocerà nell’anti – attivismo tipico degli scritti futuri: basandosi sull’assunzione
«[…] l’inazione è meglio dell’azione sbagliata o della prematura azione giusta, e l’effettiva giusta azione può solo seguire al giusto pensiero» [18],
egli afferma che, anche potendo, non abolirebbe lo Stato per rimpiazzarlo con un’organizzazione meramente economica; il cambiamento, perché sia corretto, deve prima avvenire nel pensiero del pubblico, nelle coscienze degli individui.
“On Doing the Right Thing” è il saggio che dà il titolo al volume. Inizia descrivendo la capacità tipicamente inglese ed espressamente non meritevole un’azione contraria ai propri principi morali, solo perché fatta in nome dello Stato, ndA] nei funzionari e nel pubblico».
americana, di saper riconoscere la Cosa Giusta («Right Thing», nel saggio) da fare senza troppi sofismi o ragionamenti complicati; capacità subito collegata alla teoria della libertà. L’autore mette in campo un ragionamento lineare: se già il senso morale comune, educato solo grazie alla libertà ed annessa responsabilità delle proprie azioni, riesce a discernere tra un’azione giusta ed una sbagliata, perché mai la legislazione deve essere così ampia ed invasiva?
Alla base della riflessione vi è la divisione della condotta umana in tre aree: la prima è controllata da una forza coercitiva esterna all’individuo, dalla legge; la seconda riguarda la scelta indifferente; la terza è regolata da un’auto – imposta obbedienza alla morale. Il problema degli Stati Uniti è ricondotto alla circostanza che vede la prima area pericolosamente in espansione, a scapito della terza; l’effetto di tutto ciò è la deresponsabilizzazione dell’individuo ed un imbarbarimento della società dovuti alla mancanza di libertà [19]. Vale la pena citare il finale dello scritto, che testimonia la visione anarchica di Nock e l’ottimistica (almeno fino ad ora) immagine dell’animo umano:
«Il suo desiderio di libertà ha invece un obiettivo concreto: confida nella possibilità che gli uomini diventino realmente così buoni e rispettabili, distinti e nobili d’animo, come potrebbero davvero essere e come in realtà desidererebbero essere. Ragione, esperienza e osservazione guidano l’anarchico alla certezza che, sottoposti a libertà assoluta ed incondizionata, gli uomini possano, e piuttosto rapidamente lo faranno, educare sé stessi a questo fine auspicabile; ma finché saranno totalmente dominati dal legalismo e dall’autoritarismo, non avranno nemmeno la possibilità di provarci» [20].
L’anno della Grande Crisi è anche l’anno di Francis Rabelais: The Man and his Work, monografia dello scrittore rinascimentale francese François Rabelais, una delle passioni letterarie di Nock.
Cinque anni più tardi ci sarà spazio anche per A Journey Into Rabelais’s France, spaccato della Francia di quel periodo.
Albert Jay Nock
Note:
[5] Nock, Albert Jay (1991), “The value of the clergyman of training in the Classics”, in The State of the Union: Essays in Social Criticism. (edited by Hamilton, Charles H.), Indianapolis: Liberty Press/Liberty Classics, p. 16.
“Ma la religione è un moto interiore, una distinta forma di pura attività spirituale; non un processo intellettuale, un comportamento esteriore, o una serie di osservanze formali. La verità ultima della religione è una verità poetica, non scientifica; infatti, con la pura verità scientifica la religione ha veramente poco a che fare”.
[6] Nock, Albert Jay (1943), Memoirs of a Superfluous Man. New York: Harper & Brothers, p. 128.
“[…] lui [Henry George, ndC] credeva che tutti gli esseri umani fossero indefinitamente migliorabili, e che quanto più liberi sono, tanto più migliorano. Si accorse anche che non potranno mai diventare politicamente o socialmente liberi finché non saranno economicamente liberi, ma quando essi avranno guadagnato la libertà economica, le altre libertà arriveranno di conseguenza”.
[7] Oppenheimer, Franz (1908), Der Staat, Frankfurt am Main: Rütten & Loening, p. 14.
“Ci sono fondamentalmente due mezzi contrapposti attraverso i quali l’uomo, bisognoso di sostentamento, è spinto nell’ottenere i necessari mezzi per soddisfare i suoi bisogni. Questi sono il lavoro ed il furto, cioè il proprio lavoro e l’appropriazione violenta del lavoro altrui”.
[8] Ivi, pp. 8-9.
“Lo Stato, nella sua totale genesi, nell’essenza e quasi completamente durante i primi stadi della sua esistenza, è un’istituzione sociale che un gruppo vittorioso di uomini impone ad un gruppo di sconfitti, con l’unico scopo di regolamentare il dominio dei primi sui secondi e assicurarsi contro rivolte interne ed attacchi esterni. Questo dominio non ha altro scopo che lo sfruttamento economico dei perdenti da parte dei vincitori”.
[9] Nock, Albert Jay (1922), The Myth of a Guilty Nation. New York: B.W. Huebsch, Inc., p. 5.
[10] Nock, Albert Jay (1928), “The Decline of Conversation”, in On Doing the Right Thing and Other Essays. New York: Harper & Brothers, p. 25.
[11] Ivi, p. 40.
“Mr. Finkman non deve rimanere un momento più del necessario nel buio, solo con i propri timori. Dopo una tale cena, come il mio bonario amico descrisse, è innanzitutto necessario ‘fare qualcosa’”.
[12] Nock, Albert Jay (1928), “Towards a New Quality Product” in On Doing the Right Thing and Other Essay, cit., p. 98.
“Un istituto di istruzione non è necessariamente educativo… […] Un allievo istruito non è per nessun motivo indispensabilmente un allievo educato, nemmeno in limine; è unicamente una persona che è stata esposta all’istruzione, senza che si possa dir nulla sugli effetti di questa esposizione”.
[13] Ivi, p. 101.
“[…] quello che veramente conta è la school – ability; l’assunto secondo cui tutti i bambini in età scolare la posseggano è palesemente in contrasto con i fatti”.
[14] Nock, Albert Jay (1928), “Anarchist’s Progress”, in On Doing the Right Thing and Other Essays, cit., p. 133.
“[…] se l’intenzione primaria del governo non era quella di abolire il crimine ma semplicemente di monopolizzarlo, non poteva esser trovato strumento migliore che l’indottrinamento di questo preciso stato d’animo [ovvero il considerare giusta e meritevole un’azione contraria ai propri principi morali, solo perché fatta in nome dello Stato, ndA] nei funzionari e nel pubblico”.
[15] Ivi, p. 138.
[16] Ivi, p. 148.
[17] Ivi, p. 150.
“Nessuno Stato storicamente conosciuto ha avuto origine in altra maniera o per altro scopo, se non quello di rendere possibile lo sfruttamento economico continuo di una classe da parte di un’altra”.
[18] Ivi, p. 157.
[19] Nock, Albert Jay (1928), “On Doing the Right Thing”, in On Doing the Right Thing and Other Essays, cit., p. 157.
“Il punto è che qualsiasi ampliamento, buono o cattivo, riduce il campo di azione della responsabilità individuale, ritardando ed ostacolando l’educazione che può essere fornita esclusivamente grazie al libero esercizio del giudizio morale”.
[20] Ivi, pp. 177-178.
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